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Le nuvole e il castigo

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nuvoleIl pensionato percorse gli ultimi metri verso la panchina con un po’ d’affanno, al quale lui stesso non voleva credere. Mancava l’allenamento, solo quello. Le magagne di salute della moglie lo avevano costretto troppo tempo  in casa. Una prigione dentro la quale fare i conti anche con qualche vaneggiamento mentale di chi, da una vita, gli era a fianco e un tempo lo aveva ubriacato con il suo carattere gioioso e imprevedibile, le lunghe gambe affusolate e gli occhi color pervinca. Per lei era forse già arrivato il momento in cui parlare o stare muti era la stessa cosa. Si sedette con un movimento lento, scegliendo l’angolo in ombra.

Due bambinetti color nocciola giocavano festosi staccandosi e ritornando poi di corsa alle gonne di una donna di colore. Notò che parlavano italiano. I tempi erano mutati. Era logico e giusto che ci fosse l’integrazione. Difficili da capire i discorsi di chi si opponeva a questo evento naturale.

Le nuvole di settembre davano ancora spazio a caldi raggi di sole. Provò a rifare il gioco che, da  piccolo, gli consentiva di scoprire nei soffici fiocchi bianchi che solcavano il cielo, le figure di Pinocchio, della Fata Turchina, del cugino Luigi, della mamma e del babbo. Si sorrise addosso quando scoprì che non ci riusciva. Diede la colpa al vento che scompigliava troppo in fretta gli sbuffi bianchi.

Di fronte a lui un altro anziano leggeva il giornale. Il fumo della sua sigaretta arrivava sino a lui e gli riportò alla mente di quando, aprendo l’armadio che custodiva le divise e gli abiti del babbo, era investito dallo stesso odore. In un cassetto c’era la maglia intima di lana che indossava quando una granata nemica lo ferì gravemente. Era squarciata nella schiena e, ai bordi della ferita, si vedevano ancora le macchie di sangue.

Non lo rattristava riportare alla mente quei ricordi così lontani. Anzi vi si cullava con piacere, quasi a prolungare quelle sensazioni e quei sentimenti.

Senza accorgersene chiuse gli occhi e si appoggiò alla spalliera. In quella specie di dormiveglia lo assalirono altri pensieri, questa volta tormentosi. Aveva lavorato una vita, comportandosi con onestà e capacità. Era riuscito a sgomitare contro le prepotenze e le ingiustizie e, con i suoi soli meriti, a fare carriera. Questo gli era costato tanti sacrifici e il giro del mondo tra tante sedi diverse. Ne aveva patito la famiglia ma era riuscito a tenerla vicina, ripagandola con un minimo di benessere economico.

Quando, avanti negli anni, l’azienda gli fece capire che era ora di mettersi da parte per fare spazio ai giovani obbedì con animo triste. Era però orgoglioso di essersi procurato una pensione decente, tale da poter guardare con serenità al futuro.

Molti della sua generazione non ce l’avevano fatta o avevano preferito non versare i contributi di legge investendo in altro modo. Altri ancora, in un’Italia dove la disoccupazione era praticamente inesistente, avevamo scelto lavori meno complicati del suo o erano rimasti al paesello accettando retribuzioni più contenute.

Ora non era ricco, ma neanche aveva voluto mai esserlo. Gli bastava non dover chiedere nulla ad alcuno e poter affrontare le difficoltà della vecchiaia in modo sereno.

Così gli aveva garantito lo Stato. E a lui, che aveva sempre rispettato la legge e credeva nel diritto, sembrava impossibile che qualcuno potesse cambiare le carte in tavola. E invece questo era avvenuto.

Viveva in un Paese alla deriva, in mano a ladri, sordo ad ogni istanza logica,  ammaestrato solo a scodinzolare dietro al cravattaro di turno, dove si si accettava di farlo passare per un parassita; per uno che vive, immeritatamente, sulle spalle della Società. Un Paese in cui si pretende di ricalcolare la sua pensione, alla ricerca della virgola che possa arrivare a concludere che va ridotta. Un Paese in cui, quando si vuole vigliaccamente adescare i fessi che ci cascano, si vanno a intervistare i bontemponi che ballano la mazurca nei “centri anziani” confrontando la misera pensione che lo Stato loro elargisce con la nostra. Un Paese in cui destra, sinistra e centro sono affratellate nel consolidare concetti che promuovono la furbizia e la disonestà inculcando nei giovani sentimenti malsani e viscidi.

In questo Paese è più che logico che si arrivi ad irridere alla Corte Costituzionale e che il Presidente della Repubblica firmi un decreto palesemente fuori legge. In questo Paese è normale che ci si appresti a trovare i rinforzi “giusti” per bloccare definitivamente i ricorsi.

Bisognerebbe avere ancora vent’anni per ricominciare da capo, ma in un altro modo.

Bisognerebbe prendere una grossa scopa e, non necessariamente con la violenza, spazzare via questo mondezzaio di furbastri che hanno ormai l’unico obbiettivo di salvare le poltrone.

Poi bisognerebbe darsi da fare e disegnare un Paese diverso, basato sul diritto, sull’onestà, sulla meritocrazia e sul rispetto di chi non può difendersi, come gli anziani.

Il pensionato riaperse gli occhi per lo strillo dei bambini e fu una fortuna perché stava inquietandosi troppo. Si avviò verso casa. Ancora una volta alzò gli occhi al cielo e, con sorpresa, questa volta vide la Fata Turchina. Invece della bacchetta aveva in mano un cartello. Lo lesse e sorrise assentendo. C’era scritto: “CASTIGHIAMOLI CON IL VOTO!”

 

 


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